Alessandra Valeri Manera
Responsabile della fascia ragazzi delle reti Fininvest

Mangazine, 1993

A cura di Federico Colpi e Francesco Di Sanzo

D. Chi è e qual è il suo lavoro?
R. Sono una giornalista professionista e nel momento in cui la Fininvest decise di creare un gruppo televisivo mi fu offerto di occuparmi della fascia ragazzi, incarico che accettai molto volentieri. All'inizio non si prospettava come un lavoro molto pesante né ricco delle soddisfazioni che ho invece conosciuto più tardi: mi occupavo di uno spazio di mezz'ora su un'unica rete, poi esteso a un'ora, e non mi sarei mai aspettata che attraverso l'acquisizione di Italia Uno e del marchio di Retequattro il gruppo sarebbe diventato così grande. Con la crescita dell'azienda anche la fascia ragazzi ha acquistato un ruolo importante e si è sviluppata in un modo davvero imprevedibile ed entusiasmante per tutti noi: il lavoro è aumentato, ma senz'altro anche le soddisfazioni.

D. In cosa consiste il suo lavoro?
Il nostro lavoro, perché siamo davvero in tanti, consiste nell'acquistare, produrre e programmare le trasmissioni per ragazzi delle tre reti Fininvest. La nostra équipe svolge un lavoro completo, dalla scelta del prodotto alla cura del doppiaggio: una gestione unica per avere un controllo completo del cartone, affinché questo sia adatto per la programmazione Fininvest.

D. Cosa l'attrae di più del suo lavoro?
R. Decisamente i bambini. La società di oggi per molti motivi trascura i più piccoli, ma mi appassiona lavorare per loro con il dovuto impegno attraverso programmi televisivi. E' bello soprattutto accorgersi che non hanno preconcetti: lavorare per i bambini significa cercare di capire quali sono le loro esigenze senza dare nulla per scontato. E' un pubblico attento, sincero, apertissimo a nuovi stimoli e molto selettivo, che sa cosa vuole.

D. Sappiamo che lei si reca spesso in Giappone. Si occupa in prima persona dell'acquisto della serie tv e con che criteri sceglie serie e film d'animazione?
R. Mi reco spesso in Giappone ed è un viaggio lungo e faticoso; se in più si aggiunge la differenza di fuso orario, ogni soggiorno è davvero stremante! Per quanto riguarda le serie tv le scelgo in base ai criteri della nostra programmazione per ragazzi. In Italia i cartoni animati hanno a disposizione una fascia oraria seguita soprattutto dai più piccini, perciò il nostro intento primario è quello di tranquillizzare i genitori sul fatto che ciò che i loro figli vedranno in TV rispetti certi canoni: il bambino deve essere tranquillo e sereno mentre guarda la televisione, non deve porsi domande strane sul significato di quanto ha visto e non deve essere turbato da situazioni imbarazzanti o violente. La sera è la famiglia a decidere cosa guardare in TV, ma al pomeriggio i bambini si trovano spesso soli a scegliere i loro programmi ed è necessario che noi programmatori siamo coscienti delle nostre responsabilità. E' un po' come se avessimo una delega precisa da parte degli adulti, che si fidano del nostro modo di lavorare e di ciò che proponiamo sulle nostre reti. Non possiamo accettare che un bambino si ritrovi turbato per ciò che vede nelle trasmissioni per ragazzi e quindi è ovvio che spesso dobbiamo esercitare delle scelte che possono risultare sgradite ai cultori di cartoni giapponesi, che hanno un minimo di 16/18 anni. Vorrei che questi ultimi capissero che in Italia il cartone animato è considerato solo come un intrattenimento per bambini e che con queste premesse pensare a un prodotto per un pubblico adulto è assolutamente prematuro, in quanto sono pochissimi coloro che lo seguono con attenzione. E' impensabile presentare un programma di animazione per adulti, perché in Italia non c'è la cultura per farlo e neppure l'interesse. Un esempio per tutti, anche se non è un cartone animato, è il Muppet Show: andò malissimo in Italia, nonostante l'incredibile successo all'estero, perché tutti erano convinti che fosse un programma per bambini. Non lo era affatto, ma siccome c'erano i pupazzi gli adulti non lo guardavano; al contrario ai bambini non interessava perché i contenuti e la sceneggiatura erano per loro incomprensibili, in quanto erano per gli adulti, quindi è rimasto come esempio classico di un prodotto di buona qualità che però non ha avuto il meritato successo.

D. Ma secondo lei è possibile creare in Italia una coscienza simile a quella giapponese, secondo la quale i cartoni animati sono concepiti e rivolti anche a un pubblico adulto?
R. Oggi come oggi penso che sia piuttosto difficile, soprattutto perché ci sono dei preconcetti negativi da parte degli adulti nei confronti dei prodotti provenienti dal Giappone. Io personalmente apprezzo molto i cartoni nipponici e ammiro il modo di lavorare degli animatori giapponesi e asiatici. Ovviamente la qualità è un problema di budget: con pochi fondi possono unicamente realizzare serie mediocri, ma con buone basi economiche sanno fare cose splendide, anche migliori di tanti altri studi di animazione occidentali molto più stimati. Non è un caso per esempio che la Disney usi molti studi di animazione asiatici per le sue serie televisive. Questa è anche una prova della grande capacità dei giapponesi di adattarsi a ogni tipo di soluzione e cultura, con molta naturalezza e professionalità.

D. Che peso ha lo sponsor nella scelta dei titoli che vengono programmati nelle tre reti Fininvest?
R. Non ha nessuna voce in capitolo nella scelta di un cartone. Un cartone viene scelto unicamente se valido.

D. E riguardo alla nuova legge sulla pubblicità, cosa è cambiato nei programmi per ragazzi?
R. E' stata una forte mazzata che rischia addirittura di cancellare questo tipo di trasmissioni. Il primo effetto visibile è stato il fatto che abbiamo dovuto rinunciare a trasmettere cartoni animati nella fascia 20:00/20:30, per la quale avevo molto combattuto. La trasmissione serale ha infatti consentito a tanti scettici di capire che anche questo tipo di prodotto, spesso considerato secondario, può attirare un'audience vasta e qualificata. Il secondo effetto è che col tempo diventerà possibile una ulteriore riduzione della fascia ragazzi. Quella legge è stata ideata per proteggere i bambini da una televisione "cattiva", ma in realtà rischia di ottenere l'effetto contrario perché le TV commerciali potrebbero dover diminuire drasticamente il budget dei programmi per ragazzi o addirittura cancellarli del tutto dai palinsesti. Con queste premesse c'è il pericolo che i bambini si trovino in futuro senza più programmi adatti a loro. Infine, anche se questo è un problema che sentiamo meno, l'impossibilità di inserire spazi pubblicitari all'interno del cartone animato, ha reso impossibile la trasmissione di lungometraggi di animazione.

D. E' stata questa legge a causare il calo di nuove serie animate giapponesi trasmesse sulle vostre reti?
R. Non direi, almeno al momento. C'è piuttosto un altro fattore: ormai siamo attivi da anni e ci siamo fatti un ricco magazzino di serie quali Dolce Candy, Lady Oscar, Kiss me Licia od Holly e Benji, che non ci sogneremo mai di non trasmettere più; perciò le repliche di questi classici di animazione tolgono spazio alle novità. Un'altra ragione del calo numerico dei cartoni nipponici in Italia risiede nel fatto che i giapponesi stanno producendo sempre più serie legate alle loro tradizioni e meno serie internazionali: noi non potremmo mai trasmettere serie come Sazaesan, benché in Giappone abbia un tale successo da continuare ininterrottamente dal 1969, o serie culinarie come Oishinbo che narrano come si cucinano certe pietanze che noi in Italia non abbiamo neppure mai sentito nominare!

D. Veniamo al tasto più dolente, ossia la questione della censura, dei tagli, dei cambiamenti di sigle e di nomi...
R. Bisogna fare una premessa fondamentale, che gli amanti di cartoni animati giapponesi, cioè coloro che, come detto prima, hanno dai 18/18 anni in su, dovrebbero farmi il piacere di capire: le trasmissioni all'interno delle quali gli anime vengono mandati in onda sono destinate a un pubblico da 6 ai 14 anni, e tutte le nostre scelte, sia in termini di tipo d'acquisto da operare che per quanto può riguardare eventuali tagli o cambiamenti di nome, sono fatte in funzione di questo pubblico specifico. I nostri tagli e adattamenti non sono mai casuali, anche perché visionare una serie, invitare degli specialisti in psicoterapia infantile a esprimere i loro giudizi, reinventarci i nomi dei personaggi, ecc., richiede sforzi, anche e soprattutto di carattere economico, non indifferenti: ci costerebbe molto meno acquistare una serie, doppiarla e mandarla in onda così com'è. Noi però non possiamo dimenticare il ruolo che le famiglie ci delegano nell'educazione dei minori e perciò questi nostri sforzi, che ai cultori possono sembrare addirittura controproducenti, sono un servizio suppletivo rivolto al pubblico dei minori. In secondo luogo, i cosiddetti "tagli" sono molto meno consistenti di quanto certi fan affermino, e riguardano perlopiù scene che non compromettono il senso della serie: per esempio, se sostituiamo con un fotogramma fisso la scena in cui un personaggio legge una lettera scritta in giapponese lo facciamo perché sarebbe insensato per la maggior parte del nostro pubblico trovarsi sul teleschermo un nugolo di ideogrammi indecifrabili. Ma questo succede anche nei cartoni animati americani: per esempio, se un bambino torna a casa con una bella A sul compito, noi non possiamo mantenere questa scena perché nessun bambino italiano, abituato ai giudizi o ai voti numerici, sa cosa significa quella lettera dell'alfabeto. Così, in fase di doppiaggio, non faremo dire al personaggio in questione «Ho preso A», ma «Ho preso ottimo», oppure «Ho preso 10». Ci sono anche rari casi di interi episodi eliminati, ma, ripeto, sono casi estremi e comunque ben motivati, per esempio quando tutto l'episodio raffigura scene e situazioni legate a riti religiosi diversi dai nostri, che creerebbero unicamente ansia e confusione nei bambini, oppure incentrati su usi e costumi incomprensibili per i bambini italiani. Chiaro che il cultore al contrario può essere interessato proprio a questi episodi più caratteristici, ma appunto poiché è un cultore e, come dimostra il fatto conosce alla perfezione le scene che noi abbiamo tagliato i nomi originali dei personaggi, ha facile accesso alle fonti originali nipponiche, gli chiediamo di essere più comprensivo verso le esigenze del grande pubblico televisivo dei bambini. Inoltre dovrebbe considerare che, se non ci fossimo stati noi, un buon 90% delle serie televisive che sono arrivate in Italia negli ultimi anni non sarebbe mai andato in onda, anche perché i responsabili di tutte le altre reti a copertura nazionale hanno sempre manifestato una forte avversione a priori verso tutto ciò che è giapponese. Noi, con molta più apertura mentale, non ci facciamo problemi di nazionalità e basiamo le nostre scelte solo sull'effettiva qualità del cartone. Riguardo alla questione dei nomi cambiati, ribadisco che questo non è un problema delle sole serie giapponesi, ma anche di qualsiasi altro prodotto in cui i personaggi abbiano dei nomi difficili da pronunciare o da capire per i bambini: per esempio, Yu, la protagonista di Creamy, ha un nome semplice e l'abbiamo mantenuto inalterato, ma altri personaggi, anche in serie americane o francesi, hanno dei nomi tanto complicati che non abbiamo potuto fare altro che cambiare. Quello che vorrei che si capisse è che la nostra non è una censura motivata da chissà quali pregiudizi, ma un adattamento inteso a rendere più facile e gradevole la visione. Se il nostro proposito fosse quello di non trasmettere nulla di "troppo giapponese" in TV, non avremmo mai deciso di importare Kiss me Licia, la cui protagonista vive in un tipico locale giapponese dove tutti mangiano con i bastoncini. Abbiamo però cambiato il nome della pietanza cucinata regolarmente dal papà di Licia, così come il suo nome, ideando quel Marrabbio che esprime anche bene il carattere del personaggio. Infine, il motivo per cui cambiamo le sigle è ancora più semplice: non abbiamo i diritti per utilizzare i pezzi originali o quelli vecchi italiani, per cui li dobbiamo sostituire.

D. Ha parlato del rifiuto a priori dei prodotti giapponesi da parte di altre emittenti: a cosa è dovuta, secondo lei, questa pessima fama degli anime, e che influenza possono aver avuto sul grande pubblico concezioni come quella che i cartoni giapponesi sono prodotti col computer?
R. Questa del computer è una delle più grandi bugie che siano ma state dette, anche se è molto radicata: chiunque vada in uno studio di animazione asiatico può rendersi conto che, molto più che in Europa o in America, la maggior parte della realizzazione è ancora lasciata al lavoro manuale. E poi non vedo quali fattori negativi dovrebbe comportare l'uso del computer nelle serie animate. Piuttosto credo che la cosa che più ha nuociuto ai cartoni giapponesi sia stato che dopo il successo di alcune serie di ottima fattura si è scatenata una corsa all'acquisto di qualsiasi cosa portasse il marchio "made in Japan" e i teleschermi italiani sono stati invasi da cartoni di qualità mediocre dove la violenza e la lotta erano rappresentate in modo del tutto gratuito: questo ha finito col far credere all'opinione pubblica che tutto ciò che arriva dal Giappone sia di scarso valore. In realtà ben pochi di quelli che criticano gli animatori giapponesi sanno che essi sono in grado di produrre anche prodotti dolcissimi e di elevata qualità poetica, come Maple Town o Memole, serie i cui sfondi erano addirittura dipinti ad acquerello.
Credo comunque che gli adulti abituati ai cartoni americani, facciano fatica ad apprezzare i cartoni giapponesi poiché questi ultimi danno molta più importanza alla qualità delle sceneggiature piuttosto che ai disegni: in altre parole, per coloro che sono abituati al linguaggio dei cartoni americani credo sia difficile comprendere il fascino delle serie nipponiche. Un ultimo problema riguardo alla qualità del disegno è che molti non si rendono conto della differenza che necessariamente esiste tra un prodotto realizzato in full-animation (cioè con molti disegni al secondo e normalmente destinato a un circuito cinematografico) e uno in animazione limitata, vale a dire con un numero inferiore di disegni al secondo, come per quasi tutte le serie televisive prodotte nell'ultimo decennio.

D. Un'ultima domanda: tra tutti i personaggi che le sono passati tra le mani in questi anni, a quali si sente particolarmente legata?
R. Forse vi deluderò perché non sono giapponesi, ma credo che i Puffi siano stati un'esperienza importante. Prima di loro in Italia si pensava che solo i cartoni di robot potessero avere successo e quando noi proponemmo di trasmettere i Puffi ben pochi credettero che avrebbero potuto sfondare, nonostante fossero molto noti in altri Paesi europei: in realtà anche oggi a ogni replica continuano ad avere indici di ascolto molto elevati. Tra i giapponesi, ricordo senz'altro Kiss me Licia, un altro personaggio in cui nessuno credeva ma che in realtà è diventato il cartone animato a più alto indice d'ascolto tra tutti quelli proposti dalla Fininvest, dando poi lo spunto a una lunghissima serie di telefilm dal vivo prodotti da noi. Un'altra serie giapponese che ha ottenuto molto successo tra i bambini è stata Holly e Benji, anche se ho incontrato molte opposizioni tra gli adulti che si lamentavano del disegno e di alcune scelte grafiche, come il fatto che quelle pallonate che si abbattevano sui personaggi a tutta velocità avrebbero potuto spaventare i loro figli.

D. E riguardo alle novità in arrivo può rivelarci qualcosa?
R. Certo: i più vicini alla messa in onda sono una nuova serie di calcio (Topstriker, Nippon Animation); la seconda serie di Piccole Donne (Nan to Jo sensei, Nippon Animation/Fuji TV); la famiglia Trapper (Trapp Ikka monogatari, Nippon Animation) e City Hunter (Sunrise). Poi tra gli ultimi acquisti vi posso annunciare Jeanie with the Brown Light Hair (Nippon Animation/Fujieight), Zorro (Mondo TV).