D. Chi è e qual è il suo lavoro?
R. Sono una giornalista professionista e nel momento in cui la
Fininvest decise di creare un gruppo televisivo mi fu offerto di
occuparmi della fascia ragazzi, incarico che accettai molto volentieri.
All'inizio non si prospettava come un lavoro molto pesante né ricco
delle soddisfazioni che ho invece conosciuto più tardi: mi occupavo di
uno spazio di mezz'ora su un'unica rete, poi esteso a un'ora, e non mi
sarei mai aspettata che attraverso l'acquisizione di Italia Uno e
del marchio di Retequattro il gruppo sarebbe diventato così
grande. Con la crescita dell'azienda anche la fascia ragazzi ha
acquistato un ruolo importante e si è sviluppata in un modo davvero
imprevedibile ed entusiasmante per tutti noi: il lavoro è aumentato, ma
senz'altro anche le soddisfazioni.
D. In cosa consiste il suo lavoro?
Il nostro lavoro, perché siamo davvero in tanti, consiste
nell'acquistare, produrre e programmare le trasmissioni per ragazzi
delle tre reti Fininvest. La nostra équipe svolge un lavoro completo,
dalla scelta del prodotto alla cura del doppiaggio: una gestione unica
per avere un controllo completo del cartone, affinché questo sia adatto
per la programmazione Fininvest.
D. Cosa l'attrae di più del suo lavoro?
R. Decisamente i bambini. La società di oggi per molti motivi
trascura i più piccoli, ma mi appassiona lavorare per loro con il dovuto
impegno attraverso programmi televisivi. E' bello soprattutto accorgersi
che non hanno preconcetti: lavorare per i bambini significa cercare di
capire quali sono le loro esigenze senza dare nulla per scontato. E' un
pubblico attento, sincero, apertissimo a nuovi stimoli e molto
selettivo, che sa cosa vuole.
D. Sappiamo che lei si reca spesso in Giappone. Si occupa in
prima persona dell'acquisto della serie tv e con che criteri sceglie
serie e film d'animazione?
R. Mi reco spesso in Giappone ed è un viaggio lungo e faticoso;
se in più si aggiunge la differenza di fuso orario, ogni soggiorno è
davvero stremante! Per quanto riguarda le serie tv le scelgo in base ai
criteri della nostra programmazione per ragazzi. In Italia i cartoni
animati hanno a disposizione una fascia oraria seguita soprattutto dai
più piccini, perciò il nostro intento primario è quello di
tranquillizzare i genitori sul fatto che ciò che i loro figli vedranno
in TV rispetti certi canoni: il bambino deve essere tranquillo e sereno
mentre guarda la televisione, non deve porsi domande strane sul
significato di quanto ha visto e non deve essere turbato da situazioni
imbarazzanti o violente. La sera è la famiglia a decidere cosa guardare
in TV, ma al pomeriggio i bambini si trovano spesso soli a scegliere i
loro programmi ed è necessario che noi programmatori siamo coscienti
delle nostre responsabilità. E' un po' come se avessimo una delega
precisa da parte degli adulti, che si fidano del nostro modo di lavorare
e di ciò che proponiamo sulle nostre reti. Non possiamo accettare che un
bambino si ritrovi turbato per ciò che vede nelle trasmissioni per
ragazzi e quindi è ovvio che spesso dobbiamo esercitare delle scelte che
possono risultare sgradite ai cultori di cartoni giapponesi, che hanno
un minimo di 16/18 anni. Vorrei che questi ultimi capissero che in
Italia il cartone animato è considerato solo come un intrattenimento per
bambini e che con queste premesse pensare a un prodotto per un pubblico
adulto è assolutamente prematuro, in quanto sono pochissimi coloro che
lo seguono con attenzione. E' impensabile presentare un programma di
animazione per adulti, perché in Italia non c'è la cultura per farlo e
neppure l'interesse. Un esempio per tutti, anche se non è un cartone
animato, è il Muppet Show: andò malissimo in Italia, nonostante
l'incredibile successo all'estero, perché tutti erano convinti che fosse
un programma per bambini. Non lo era affatto, ma siccome c'erano i
pupazzi gli adulti non lo guardavano; al contrario ai bambini non
interessava perché i contenuti e la sceneggiatura erano per loro
incomprensibili, in quanto erano per gli adulti, quindi è rimasto come
esempio classico di un prodotto di buona qualità che però non ha avuto
il meritato successo.
D. Ma secondo lei è possibile creare in Italia una coscienza
simile a quella giapponese, secondo la quale i cartoni animati sono
concepiti e rivolti anche a un pubblico adulto?
R. Oggi come oggi penso che sia piuttosto difficile, soprattutto
perché ci sono dei preconcetti negativi da parte degli adulti nei
confronti dei prodotti provenienti dal Giappone. Io personalmente
apprezzo molto i cartoni nipponici e ammiro il modo di lavorare degli
animatori giapponesi e asiatici. Ovviamente la qualità è un problema di
budget: con pochi fondi possono unicamente realizzare serie mediocri, ma
con buone basi economiche sanno fare cose splendide, anche migliori di
tanti altri studi di animazione occidentali molto più stimati. Non è un
caso per esempio che la Disney usi molti studi di animazione asiatici
per le sue serie televisive. Questa è anche una prova della grande
capacità dei giapponesi di adattarsi a ogni tipo di soluzione e cultura,
con molta naturalezza e professionalità.
D. Che peso ha lo sponsor nella scelta dei titoli che vengono
programmati nelle tre reti Fininvest?
R. Non ha nessuna voce in capitolo nella scelta di un cartone. Un
cartone viene scelto unicamente se valido.
D. E riguardo alla nuova legge sulla pubblicità, cosa è
cambiato nei programmi per ragazzi?
R. E' stata una forte mazzata che rischia addirittura di
cancellare questo tipo di trasmissioni. Il primo effetto visibile è
stato il fatto che abbiamo dovuto rinunciare a trasmettere cartoni
animati nella fascia 20:00/20:30, per la quale avevo molto combattuto.
La trasmissione serale ha infatti consentito a tanti scettici di capire
che anche questo tipo di prodotto, spesso considerato secondario, può
attirare un'audience vasta e qualificata. Il secondo effetto è che col
tempo diventerà possibile una ulteriore riduzione della fascia ragazzi.
Quella legge è stata ideata per proteggere i bambini da una televisione
"cattiva", ma in realtà rischia di ottenere l'effetto contrario perché
le TV commerciali potrebbero dover diminuire drasticamente il budget dei
programmi per ragazzi o addirittura cancellarli del tutto dai
palinsesti. Con queste premesse c'è il pericolo che i bambini si trovino
in futuro senza più programmi adatti a loro. Infine, anche se questo è
un problema che sentiamo meno, l'impossibilità di inserire spazi
pubblicitari all'interno del cartone animato, ha reso impossibile la
trasmissione di lungometraggi di animazione.
D. E' stata questa legge a causare il calo di nuove serie
animate giapponesi trasmesse sulle vostre reti?
R. Non direi, almeno al momento. C'è piuttosto un altro fattore:
ormai siamo attivi da anni e ci siamo fatti un ricco magazzino di serie
quali Dolce Candy, Lady Oscar, Kiss me Licia od
Holly e Benji, che non ci sogneremo mai di non trasmettere più;
perciò le repliche di questi classici di animazione tolgono spazio alle
novità. Un'altra ragione del calo numerico dei cartoni nipponici in
Italia risiede nel fatto che i giapponesi stanno producendo sempre più
serie legate alle loro tradizioni e meno serie internazionali: noi non
potremmo mai trasmettere serie come Sazaesan, benché in Giappone abbia
un tale successo da continuare ininterrottamente dal 1969, o serie
culinarie come Oishinbo che narrano come si cucinano certe
pietanze che noi in Italia non abbiamo neppure mai sentito nominare!
D. Veniamo al tasto più dolente, ossia la questione della
censura, dei tagli, dei cambiamenti di sigle e di nomi...
R. Bisogna fare una premessa fondamentale, che gli amanti di
cartoni animati giapponesi, cioè coloro che, come detto prima, hanno dai
18/18 anni in su, dovrebbero farmi il piacere di capire: le trasmissioni
all'interno delle quali gli anime vengono mandati in onda sono destinate
a un pubblico da 6 ai 14 anni, e tutte le nostre scelte, sia in termini
di tipo d'acquisto da operare che per quanto può riguardare eventuali
tagli o cambiamenti di nome, sono fatte in funzione di questo pubblico
specifico. I nostri tagli e adattamenti non sono mai casuali, anche
perché visionare una serie, invitare degli specialisti in psicoterapia
infantile a esprimere i loro giudizi, reinventarci i nomi dei
personaggi, ecc., richiede sforzi, anche e soprattutto di carattere
economico, non indifferenti: ci costerebbe molto meno acquistare una
serie, doppiarla e mandarla in onda così com'è. Noi però non possiamo
dimenticare il ruolo che le famiglie ci delegano nell'educazione dei
minori e perciò questi nostri sforzi, che ai cultori possono sembrare
addirittura controproducenti, sono un servizio suppletivo rivolto al
pubblico dei minori. In secondo luogo, i cosiddetti "tagli" sono molto
meno consistenti di quanto certi fan affermino, e riguardano perlopiù
scene che non compromettono il senso della serie: per esempio, se
sostituiamo con un fotogramma fisso la scena in cui un personaggio legge
una lettera scritta in giapponese lo facciamo perché sarebbe insensato
per la maggior parte del nostro pubblico trovarsi sul teleschermo un
nugolo di ideogrammi indecifrabili. Ma questo succede anche nei cartoni
animati americani: per esempio, se un bambino torna a casa con una bella
A sul compito, noi non possiamo mantenere questa scena perché nessun
bambino italiano, abituato ai giudizi o ai voti numerici, sa cosa
significa quella lettera dell'alfabeto. Così, in fase di doppiaggio, non
faremo dire al personaggio in questione «Ho preso A», ma «Ho preso
ottimo», oppure «Ho preso 10». Ci sono anche rari casi di interi episodi
eliminati, ma, ripeto, sono casi estremi e comunque ben motivati, per
esempio quando tutto l'episodio raffigura scene e situazioni legate a
riti religiosi diversi dai nostri, che creerebbero unicamente ansia e
confusione nei bambini, oppure incentrati su usi e costumi
incomprensibili per i bambini italiani. Chiaro che il cultore al
contrario può essere interessato proprio a questi episodi più
caratteristici, ma appunto poiché è un cultore e, come dimostra il fatto
conosce alla perfezione le scene che noi abbiamo tagliato i nomi
originali dei personaggi, ha facile accesso alle fonti originali
nipponiche, gli chiediamo di essere più comprensivo verso le esigenze
del grande pubblico televisivo dei bambini. Inoltre dovrebbe considerare
che, se non ci fossimo stati noi, un buon 90% delle serie televisive che
sono arrivate in Italia negli ultimi anni non sarebbe mai andato in
onda, anche perché i responsabili di tutte le altre reti a copertura
nazionale hanno sempre manifestato una forte avversione a priori verso
tutto ciò che è giapponese. Noi, con molta più apertura mentale, non ci
facciamo problemi di nazionalità e basiamo le nostre scelte solo
sull'effettiva qualità del cartone. Riguardo alla questione dei nomi
cambiati, ribadisco che questo non è un problema delle sole serie
giapponesi, ma anche di qualsiasi altro prodotto in cui i personaggi
abbiano dei nomi difficili da pronunciare o da capire per i bambini: per
esempio, Yu, la protagonista di Creamy, ha un nome semplice e
l'abbiamo mantenuto inalterato, ma altri personaggi, anche in serie
americane o francesi, hanno dei nomi tanto complicati che non abbiamo
potuto fare altro che cambiare. Quello che vorrei che si capisse è che
la nostra non è una censura motivata da chissà quali pregiudizi, ma un
adattamento inteso a rendere più facile e gradevole la visione. Se il
nostro proposito fosse quello di non trasmettere nulla di "troppo
giapponese" in TV, non avremmo mai deciso di importare Kiss me Licia, la
cui protagonista vive in un tipico locale giapponese dove tutti mangiano
con i bastoncini. Abbiamo però cambiato il nome della pietanza cucinata
regolarmente dal papà di Licia, così come il suo nome, ideando quel
Marrabbio che esprime anche bene il carattere del personaggio.
Infine, il motivo per cui cambiamo le sigle è ancora più semplice: non
abbiamo i diritti per utilizzare i pezzi originali o quelli vecchi
italiani, per cui li dobbiamo sostituire.
D. Ha parlato del rifiuto a priori dei prodotti giapponesi da
parte di altre emittenti: a cosa è dovuta, secondo lei, questa pessima
fama degli anime, e che influenza possono aver avuto sul grande pubblico
concezioni come quella che i cartoni giapponesi sono prodotti col
computer?
R. Questa del computer è una delle più grandi bugie che siano ma
state dette, anche se è molto radicata: chiunque vada in uno studio di
animazione asiatico può rendersi conto che, molto più che in Europa o in
America, la maggior parte della realizzazione è ancora lasciata al
lavoro manuale. E poi non vedo quali fattori negativi dovrebbe
comportare l'uso del computer nelle serie animate. Piuttosto credo che
la cosa che più ha nuociuto ai cartoni giapponesi sia stato che dopo il
successo di alcune serie di ottima fattura si è scatenata una corsa
all'acquisto di qualsiasi cosa portasse il marchio "made in Japan" e i
teleschermi italiani sono stati invasi da cartoni di qualità mediocre
dove la violenza e la lotta erano rappresentate in modo del tutto
gratuito: questo ha finito col far credere all'opinione pubblica che
tutto ciò che arriva dal Giappone sia di scarso valore. In realtà ben
pochi di quelli che criticano gli animatori giapponesi sanno che essi
sono in grado di produrre anche prodotti dolcissimi e di elevata qualità
poetica, come Maple Town o Memole, serie i cui sfondi
erano addirittura dipinti ad acquerello.
Credo comunque che gli adulti abituati ai cartoni americani, facciano
fatica ad apprezzare i cartoni giapponesi poiché questi ultimi danno
molta più importanza alla qualità delle sceneggiature piuttosto che ai
disegni: in altre parole, per coloro che sono abituati al linguaggio dei
cartoni americani credo sia difficile comprendere il fascino delle serie
nipponiche. Un ultimo problema riguardo alla qualità del disegno è che
molti non si rendono conto della differenza che necessariamente esiste
tra un prodotto realizzato in full-animation (cioè con molti
disegni al secondo e normalmente destinato a un circuito
cinematografico) e uno in animazione limitata, vale a dire con un numero
inferiore di disegni al secondo, come per quasi tutte le serie
televisive prodotte nell'ultimo decennio.
D. Un'ultima domanda: tra tutti i personaggi che le sono
passati tra le mani in questi anni, a quali si sente particolarmente
legata?
R. Forse vi deluderò perché non sono giapponesi, ma credo che i
Puffi siano stati un'esperienza importante. Prima di loro in Italia si
pensava che solo i cartoni di robot potessero avere successo e quando
noi proponemmo di trasmettere i Puffi ben pochi credettero che avrebbero
potuto sfondare, nonostante fossero molto noti in altri Paesi europei:
in realtà anche oggi a ogni replica continuano ad avere indici di
ascolto molto elevati. Tra i giapponesi, ricordo senz'altro Kiss me
Licia, un altro personaggio in cui nessuno credeva ma che in realtà è
diventato il cartone animato a più alto indice d'ascolto tra tutti
quelli proposti dalla Fininvest, dando poi lo spunto a una lunghissima
serie di telefilm dal vivo prodotti da noi. Un'altra serie giapponese
che ha ottenuto molto successo tra i bambini è stata Holly e Benji,
anche se ho incontrato molte opposizioni tra gli adulti che si
lamentavano del disegno e di alcune scelte grafiche, come il fatto che
quelle pallonate che si abbattevano sui personaggi a tutta velocità
avrebbero potuto spaventare i loro figli.
D. E riguardo alle novità in arrivo può rivelarci qualcosa?
R. Certo: i più vicini alla messa in onda sono una nuova serie di
calcio (Topstriker, Nippon Animation); la seconda serie di
Piccole Donne (Nan to Jo sensei, Nippon Animation/Fuji TV);
la famiglia Trapper (Trapp Ikka monogatari, Nippon
Animation) e City Hunter (Sunrise). Poi tra gli ultimi acquisti
vi posso annunciare Jeanie with the Brown Light Hair (Nippon
Animation/Fujieight), Zorro (Mondo TV). |