All’interno di un saggio (pubblicato sul trimestrale di informazione bibliografica LiBeR) sul rifiuto della famiglia tradizionale e borghese visto come causa ispiratrice dei temi di quasi tutti i capolavori per l’infanzia, si inserisce un articolo scritto da Alessandra Valeri Manera che pone una riflessione sul celebre romanzo di Astrid Lindgren.

Pippi Calzelunghe: «Sola, ma me la cavo sempre»

LiBeR, 1994

Alessandra Valeri Manera

La storia di Pippi Calzelunghe è certamente quella di una bimba sui generis della letteratura infantile, anche se a ben vedere presenta alcune affinità con il Piccolo Principe di Saint-Exupéry: come lui Pippi vede e descrive il mondo adottando il punto di vista del bambino che guarda l'adulto e non viceversa.
Orfana di madre, che lei vede come un angelo, non perde tempo a compiangersi, ma affronta la situazione salutandola giornalmente con un cenno verso l'alto dicendo: «non stare in pensiero per me, io me la cavo sempre!».
In effetti Pippi se la cava benissimo anche senza genitori, tanto che quando la sua amica Annika le chiede, leggermente inquieta, «non hai né mamma né papà?» lei risponde allegramente «nemmeno un pezzettino!».
In realtà un pezzettino di papà Pippi ce l'ha, ma si tratta più di un grande e grosso compagno di giochi immaginario che non di un papà.
Egli l'ha resa indipendente sia sotto l'aspetto psico-pedagogico, sia sotto quello economico.
Pippi infatti è ricchissima nel cuore (come tutti i bambini) e di fatto.
Emblematica in tal senso è la frase «finché il cuore è caldo e fa tic tac come si deve, non c'è pericolo di gelare!» che Pippi pronuncia a conferma della sua continua attenzione verso i coetanei: li allevia dalle angherie degli adulti organizzando allegri esami per i bimbi bocciati, feste divertentissime dove ci si può sporcare e si può galoppare con la fantasia e comprando con le sue monete d'oro regali agli amici.
Con il suo comportamento Pippi propone di continuo la supremazia dei valori dell'essere su quelli dell'avere (E. Fromm) ed è questo che rende ancora così attuale il libro. L'essere ha il sopravvento anche nell'esercizio dell'autorità, che viene attuata senza impartire ordini o minacce (come spesso invece fanno i genitori) ma dimostrando quanto questa possa essere utile per fare emergere le potenzialità dei bambini.
Come i suoi coetanei però anche Pippi ha bisogno di autorità.
Con il suo comportamento da protagonista cerca di rispettare il più possibile le regole sociali per una buona convivenza con gli altri: significativi in questo senso i tentativi, più o meno riusciti, di inserirsi nel tessuto quotidiano dei suoi coetanei.
«Tu devi capire», dice alla maestra durante il suo primo e unico giorno di scuola, «che quando uno ha un angelo per mamma e un re dei negri per papà e non ha fatto altro per tutta la vita che navigare per i mari, non può sapere esattamente come deve comportarsi a scuola».
Pippi non sa ma intuisce, reagendo positivamente all'autorità, ma non accettando le pressioni e l'indifferenza degli adulti che spesso esigono uno sforzo del bimbo che cresce, senza compierlo essi stessi nei suoi confronti. Sui rapporti tra adulti e bambini Pippi ha le idee molto chiare: non vuole diventare grande perché «i grandi non si divertono mai; hanno solo molto da lavorare, gli abiti buffi, i calli e le tasse comunali [...] e poi sono pieni di fisime: credono per esempio che succeda chissà cosa, magari di tagliarsi, se ci si infila il coltello in bocca e così via».
Pur essendo cosciente che prima o poi dovrà crescere Pippi preferisce prolungare il più possibile la sua infanzia anche con l'aiuto delle pillole Cinegunde per non diventare "grande".
Insomma la particolarità di questo racconto è che ogni avventura di Pippi invia al lettore un segnale forte e chiaro, e da me perfettamente condiviso: «che pazienza hanno i bambini con gli adulti!».